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Plasmaterapia: la soluzione al COVID-19?

Nelle ultime settimane si è molto speculato a livello mediatico sulla possibilità che la plasmaterapia – il processo di trasfusione del plasma sanguigno da una persona guarita da COVID-19 ad un altro soggetto infetto – possa essere la soluzione alla pandemia odierna, eliminando la necessità di altri trattamenti o di un vaccino. Cerchiamo di capire allora come funziona la terapia del plasma e di quanto la scienza sa ad oggi sulla sua efficacia contro il COVID-19.

1) Cos'è e come funziona la plasmaterapia?


La plasmaterapia è il processo di trasfusione del plasma di pazienti guariti da una certa infezione, e che quindi hanno sviluppato gli anticorpi, ad altri pazienti infettati dallo stesso patogeno. Il suo utilizzo come metodo di cura risale alla scoperta degli anticorpi alla fine del 1800. L’efficacia della plasmaterapia, chiamata anche trasferimento di plasma da convalescenti, sfrutta proprio l’attività di molecole dette anticorpi. Gli anticorpi vengono prodotti dall’organismo nel corso di una risposta immunitaria che inizia quando l’uomo è esposto ad agenti infettivi o a seguito di una vaccinazione. Gli anticorpi si trovano nella parte liquida del sangue, chiamata plasma, che ha un caratteristico colore giallo piuttosto che rosso, come raffigurato dalla provetta sotto. Il plasma può essere separato dagli altri componenti del sangue mediante centrifugazione o filtrazione.

Il processo di trasfondere anticorpi isolati o contenuti nel plasma in un paziente al fine di combattere un’infezione è chiamato ‘immunizzazione passiva, poiché fornisce al paziente elementi di difesa immunitaria senza che sia l’organismo stesso a produrli. Per questo la plasmaterapia si distingue dalla vaccinazione, che invece stimola il corpo a produrre i propri anticorpi, in un processo definito ‘immunizzazione attiva’. Dopo essere stati ricevuti tramite immunizzazione passiva gli anticorpi vengono eliminati dal sistema sanguigno. Ciò significa che la loro funzione di difesa è sì immediata, ma temporanea. Diverso è invece il discorso per l’immunità attiva, in cui è il corpo stesso a produrre anticorpi specifici contro l’agente patogeno e a “memorizzare la ricetta” per riprodurli in futuro, instaurando quindi meccanismi di difesa che possono durare per tutta la vita dell’individuo. La produzione di anticorpi da parte dell’organismo può richiedere alcune settimane, perciò l’immunizzazione che ne segue non è immediatamente. Invece, tramite l’immunizzazione passiva gli anticorpi vengono assunti direttamente, quindi la protezione è immediata. Sottolineiamo che la tempistica esatta per raggiungere l’immunità (e/o guarigione in caso di un paziente già affetto dalla malattia) dopo l’immunizzazione passiva o attiva varia a seconda della malattia stessa.


La rabbia è un caso di malattia infettiva che può essere trasmessa da un animale all’uomo (per esempio attraverso un morso) e che viene trattata con l’immunizzazione sia attiva che passiva. Sintomi come febbre ed allucinazioni indicano uno stadio avanzato e solitamente fatale dell’infezione. Fortunatamente, sono stati sviluppati modi efficaci per proteggerci e guarire dalla rabbia usando l’immunità attiva e passiva. Facendo due esempi, chi è a rischio di contrarre l’infezione, come lavoratori a contatto con animali tipo cani o pipistrelli, può essere vaccinato contro la rabbia acquisendo un’immunità attiva di lunga durata. Se, invece, un individuo viene morso da un animale sospetto portatore di malattia, egli può ricevere le immunoglobuline, cioè anticorpi che forniscono un’immunità passiva ad azione rapida. Agendo sulla malattia in questi due modi non reciprocamente escludenti, si è riusciti a ridurne significativamente la mortalità.


2) La plasmaterapia funziona contro il COVID-19?

Sappiamo che la terapia al plasma è efficace contro alcune malattie e ci sono studi che dimostrano che lo sia anche contro un’infezione molto simile al COVID-19 per agente patogeno e sintomi, ovvero la SARS (Severe acute respiratory syndrome); ma cosa sappiamo sull’efficacia della plasmaterapia contro il COVID-19?

Il metodo sperimentale utile a verificare la sicurezza e l’efficacia di un trattamento su una malattia passa attraverso studi detti “sperimentazioni cliniche”. Ciò vale anche per la plasmaterapia per la cura del COVID-19. Una sperimentazione clinica prevede le seguenti fasi:


1) reclutamento di centinaia (se non migliaia) di pazienti volontari con COVID-19;

2) divisione dei pazienti in due gruppi;

3) somministrazione della plasmaterapia al primo gruppo di volontari insieme al trattamento tradizionale, mentre al secondo gruppo (chiamato "gruppo di controllo") viene somministrato solo il trattamento tradizionale. Nota bene: il paziente non deve sapere a quale gruppo appartiene.

4) Verificare se le persone che hanno ricevuto anche la plasmoterapia riportino miglioramenti rispetto a chi è stato sottoposto al solo trattamento tradizionale .

Ogni medicinale entra nel mercato solo dopo aver superato un accurato processo di sperimentazione clinica. Questo processo serve a verificare che un farmaco (nuovo o già esistente), una cura biologica o un dispositivo medicale siano in grado di curare o limitare una malattia già identificata, facendo emergere anche eventuali effetti collaterali.



Ma arriviamo alla buona notizia! C'è stato un enorme sforzo internazionale per portare avanti questi studi clinici che testano l’attività della plasmaterapia. Ad oggi, nessuno di essi è ancora terminato, il che significa che non conosciamo ancora nessun risultato definitivo di efficacia. Fortunatamente dovremmo ottenere presto notizie ufficiali: questo studio svolto presso a Parigi si concluderà il 15 maggio, perciò dovremo aspettare solo pochi giorni per conoscerne i primi esiti.


Inoltre, dati i riscontri positivi sui pazienti fin’ora trattati con plasmaterapia, possiamo essere piuttosto ottimisti sui risultati attesi dagli studi clinici. Questo ottimismo sarebbe motivato dai risultati di ‘casi studio preliminari i quali hanno dimostrato l’efficacia della plasmaterapia. I casi studio preliminari differiscono dagli studi clinici poiché i primi usano un numero molto inferiore di individui trattati e mancano del gruppo di "controllo". Un caso studio eseguito in Corea del Sud ha riportato che due pazienti con COVID-19 sono migliorati dopo essere stati trattati con plasma da convalescenti. Un altro caso studio avvenuto a Wuhan ha registrato un netto miglioramento dei sintomi dell’infezione in un gruppo di 10 pazienti dopo aver ricevuto la terapia al plasma. Questi non sono gli unici studi a mostrare tali risultati, ma sottolineiamo di nuovo che i casi studio non equivalgono a sperimentazioni cliniche. In questi esempi, i pazienti che hanno ricevuto il trattamento al plasma avrebbero potuto veder migliorare il loro quadro clinico grazie ad altri fattori, per esempio per effetto di altri farmaci che stavano assumendo o perché il loro corpo aveva iniziato a combattere l'infezione già autonomamente.

Tornando agli studi clinici, poiché permettono di confrontare la plasmaterapia con una non-plasmaterapia, essi costituiscono l'unico metodo valido per affermare con certezza se la plasmaterapia possa essere davvero la causa diretta dell’eventule miglioramento nei pazienti. Inoltre, le sperimentazioni cliniche possono fornire informazioni più accurate sul trattamento: per esempio, dopo quanti giorni dalla comparsa dei sintomi della malattia un paziente dovrebbe ricevere la terapia al plasma e di quanto plasma ha bisogno.

Intanto, il 23 marzo la FDA (Food and Drug Administration) ha approvato la plasmaterapia per uso compassionevole o di emergenza. Infatti, le evidenze ottentute fin’ora suggeriscono che i rischi della terapia al plasma sono bassi, quindi se efficace sarebbe immorale non usarla per trattare pazienti gravemente compromessi quando non esistono alternative efficaci tra le altre sperimentate. Un’intervista fatta a medici e pazienti mandata in onda dal programma d’inchiesta italiano “Le Iene” ha raccontato proprio dell’efficacia e del funzionamento della plasmaterapia ad uso compassionevole testata da alcuni ospedali italiani.

D'altra parte, la plasmaterapia non è priva di limiti. Uno di questi è come reperire una quantità sufficiente di plasma da donatori volontari per curare tutti i malati COVID-19. L'altro problema è intrinseco della immunità passiva, e lo abbiamo già accennato all’inizio dell’articolo: la plasmaterapia, seppur dovesse dimostrarsi efficace negli studi clinici (come tutti noi ci auguriamo!) fornirebbe una difesa immunitaria immediata ma non permanente, perciò non escluderebbe al soggetto trattato rischi di future ricadute.

L’obiettivo della ricerca scientifica è proprio quello di sviluppare una terapia che abbia efficacia a lungo termine, per questo le ricerche sui vaccini non smettono di progredire inesorabili ogni giorno e probabilmente non lo faranno neanche una volta confermate le aspettative sulla plasmaterapia. Se la terapia al plasma costituisce un potenziale trattamento, un vaccino rappresenterebbe una potenziale misura preventiva, perciò potrebbero essere due alleati nella lotta contro il COVID-19.

Per il momento, far convergere tutte le nostre speranze e risorse su un'unica soluzione non è purtroppo possibile, poiché una qualsiasi delle soluzioni incontrate di oggi potrebbe rivelarsi inutile in una sperimentazione clinica domani. Fortunatamente, gli scienziati e gli operatori sanitari di tutto il mondo stanno integrando le loro competenze per esplorare ogni possibile vittoria contro il COVID-19.

Link utili:

Articolo da Nature con una tabella che riassume gli attuali studi clinici


Clicca le parole sottolineate nel articolo per letture ulteriori

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